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Sussistono molti dubbi sull’uso dell’anticorpo anti-CDC25 Daclizumab ( Zenapax ) nel trattamento della sclerosi multipla.

Uno studio ha cercato di valutare l’efficacia di Daclizumab nei pazienti con sclerosi multipla e di capire se l’effetto terapeutico dipendesse dalla combinazione con l’Interferone beta, se un dosaggio più alto di Daclizumab fosse più efficace nei pazienti con attività persistente della malattia e se esistono marcatori in grado di predire la risposta completa o parziale a Daclizumab.

Il disegno sperimentale prevedeva il confronto, in aperto, tra basale e trattamento di fase II con Daclizumab nei pazienti affetti da sclerosi multipla che mostravano una risposta non-adeguata all’Interferone beta.

Tre mesi di trattamento al basale con Interferone beta sono stati seguiti da 5.5 mesi di trattamento combinato Interferone-beta e Daclizumab. In caso di riduzione superiore al 75% delle lesioni captanti il contrasto ( CEL ) alla risonanza magnetica cerebrale, il trattamento con Daclizumab è stato prolungato per 10 mesi in regime di monoterapia, altrimenti il dosaggio di Daclizumab è stato raddoppiato.

Sono stati coinvolti 15 pazienti con sclerosi multipla in trattamento con Interferone beta che hanno mostrato più di una esacerbazione della malattia o un aumento della disabilità clinica nei 12 mesi precedenti e presentavano almeno 2 CEL alla risonanza magnetica cerebrale basale.

Daclizumab ( 1 mg/kg ) è stato somministrato per via endovenosa ogni 4 settimane in combinazione con Interferone beta ( mesi 0-5.5 ) e come monoterapia ( mesi 6.5-15.5 ).

In generale, il 33% dei pazienti ha mostrato effetti avversi legati alla terapia. Due pazienti hanno sviluppato effetti avversi sistemici e la terapia con Daclizumab è stata interrotta.

Sebbene la monoterapia con Daclizumab sia risultata efficace in 9 dei 13 pazienti con sclerosi multipla, la terapia combinata con Interferone beta e Daclizumab è risultata necessaria per stabilizzare l’attività di malattia negli altri 4 pazienti.

La terapia con Daclizumab ha portato a una inibizione del 72% delle nuove lesioni captanti il mezzo di contrasto e a un miglioramento significativo nella disabilità clinica.

Sono stati identificati potenziali biomarcatori ( aumento delle cellule CD56 bright natural killer e diminuzione delle cellule T CD8+ ) in grado di predire una futura risposta completa o parziale a Daclizumab.

In conclusione, la monoterapia con Daclizumab è efficace nella maggior parte dei pazienti con sclerosi multipla con persistenza dell’attività di malattia dopo trattamento con Interferone beta.

La terapia di combinazione Interferone beta e Daclizumab, o dosaggi più alti di Daclizumab, potrebbero rivelarsi necessari per raggiungere la risposta terapeutica ottimale in tutti i pazienti.

Alcuni biomarcatori potrebbero essere in grado di identificare i pazienti con risposta sottottimale alla monoterapia con Daclizumab.

È necessaria la somministrazione di Daclizumab a un gruppo più ampio di pazienti e per un periodo più lungo per definire in maniera completa la sicurezza e l’efficacia a lungo termine del trattamento con Daclizumab nella sclerosi multipla.

Fonti: Bielekova B et al, Arch Neurol 2009; 66: 483-489
http://www.sclerosionline.net/index.php?show=16042&pageNum=0&sito=173